L’identità sbiadita di una piccola luna zingara

ROM ESPULSI

ANNA MARIA RIVERA

C ircondata dai suoi quattro bambini che recano sul viso le ferite di uno sgombero poco gentile, Devleta, rom bosniaca-musulmana, racconta la sua odissea: l’arrivo in Italia, otto anni fa, per sfuggire alle violenze della guerra civile, la morte del marito investito da un’auto, la vita stenta a Tor de’ Cenci e l’ultima tragedia. Mirsad, il figlio di 15 anni, “l’hanno portato via quella notte.

Ora è in Bosnia, lui che non conosce una parola di slavo, senza soldi né abiti, senza niente. Mi ha telefonato da lì e mi ha chiesto come si dice pane in slavo”.

Si dispera, Devleta, pensa che non lo rivedrà più “perché lì c’è violenza contro di noi”. E racconta della perdita di tutto ciò che possedeva, distrutto dalle ruspe dei nostrani esecutori di pulizie etniche: oggetti, denaro, abiti, documenti.

Ne ha salvato le fotocopie e se le porta in una grande borsa vuota. Ogni volta che la si interroga sul suo caso, tira fuori quel fascio di carte, mostrando nomi e date di nascita. Lì c’è l’ombra sbiadita della sua identità civile e di quella dei suoi figli. Se le perdesse, quelle carte, loro non esisterebbero più e ogni speranza di rivedere Mirsad sarebbe perduta.

Ascoltandola mi domandavo che effetto farebbe a Rutelli, e a chiunque ha deciso o eseguito “lo sgombero perfettamente riuscito”, la dolente umanità di Devleta, se lo si costringesse ad ascoltarla. Che effetto gli farebbe la lucida “coscienza civile” di Devleta che parla dei tempi di Tito e dopo, “quando noi rom eravamo tutti uniti, e con i serbi e gli altri si parlava e ci si sposava”.

Dauleta che precisa: quando dico delle violenze dei serbi in Bosnia non voglio dire tutti serbi, ma solo quelli che compiono violenze. Devleta che fa un sit-in per ottenere giustizia per sé e il suo gruppo, ma altri ne ha fatti con i rom serbi e ortodossi di via dei Gordiani che chiedono che il villaggio promesso non venga sacrificato sull’altare delle compatibilità elettorali. Anche questo vogliono cancellare le ruspe inviate dal Comitato per l’ordine e la sicurezza.

Vista da questa piccola luna zingara, la Politica appare lontana e impietosa, nell’ottusa coazione a ripetere brutali evocazioni di rastrellamenti e deportazioni. E meschina e cieca: s’indigna per l’ascesa di Haider e non vede che ciò che l’opposizione austriaca chiama xenofobia è il nostro clima quotidiano. La coscienza italica media non la tematizza come tale: è questa la differenza.

Ai mandanti dei quotidiani sgomberi ben riusciti e ai loro alleati politici indifferenti o silenziosi occorrerebbe dirgli: provate a mettervi nei panni di uno storico onesto che dovesse raccontare, fra cinquant’anni, la vicenda odierna degli zingari in Italia.

Le fonti gli direbbero di un popolo reso doppiamente nomade da una guerra civile e da una guerra umanitaria che voleva salvare i profughi della guerra civile. E gli parlerebbero di segregazione e di emarginazione, di orrendi campi-discarica e pochi insediamenti dignitosi, di scuole che integrarono e accolsero, ma anche di pogrom ad opera di popolazioni locali, di violazione di diritti umani, di “rimpatri” forzati e indiscriminati: donne, bambini e adolescenti nati o cresciuti in Italia spediti in zone di guerra endemica, a loro ignote e pericolose.

Lo storico troverebbe qualche analogia con vicende che infamarono il Novecento, e ne sarebbe turbato.

 

Fonte: https://archiviopubblico.ilmanifesto.it/Articolo/2000003538