Il 10 luglio scorso, inaspettatamente, abbiamo appreso della scomparsa di Maria Immacolata Macioti, professoressa ordinaria di Sociologia dei processi culturali: da noi chiamata affettuosamente Minette. L’illustre sociologa era ben nota, almeno in ambienti intellettuali, non solo – come si tende a enfatizzare – in quanto allieva e collaboratrice del grande sociologo Franco Ferrarotti, ma soprattutto perché mirabilmente capace d’occuparsi dei temi più svariati e in apparenza divergenti: dalla condizione dei rifugiati e dei richiedenti-asilo alle donne marocchine migranti; dalle periferie urbane ai processi di esclusione sociale; dai genocidi e stermini di massa fino all’Armenia di ieri e di oggi; dall’induismo e buddhismo all’esoterismo; dal cattolicesimo ai nuovi movimenti religiosi; fino a personaggi rimarchevoli quale quello della ex partigiana Maria Michetti, che poi divenne lei stessa sociologa e collaboratrice della cattedra di Ferrarotti. Di lei Macioti ha curato rigorosamente la biografia in un volume pubblicato da Ediesse nel 2020: Maria Michetti. Volevo un mondo migliore.
Minette si è occupata anche di un personaggio tanto importante quanto oggi alquanto dimenticato. Alludo a Ernesto Nathan, il sindaco di Roma, inglese per nascita, d’origine ebraica, italiano per parte materna, nonché rigorosamente laico, anticlericale, cosmopolita, che governò la capitale dal 1907 al 1913: in maniera onesta, rigorosa, coerente, decisamente mazziniana. Macioti lo apprezzava a tal punto che ne ha curato recentemente un’ampia e densa biografia: Nathan, il sindaco di Roma dalla parte del popolo (Iacobelli editore, 2021).
A questa e ad altre opere Macioti ha dedicato il suo tempo anche durante il periodo nefasto della pandemia, fino ai suoi ultimi giorni, spesso segregata in casa: lungamente e volutamente. E ciò, tuttavia, senza mai trascurare le amicizie, soprattutto le più care e durature: a tal punto che lei, pur affetta da varie malattie croniche, non lasciava trascorrere un paio di giorni senza chiedermi delle mie condizioni di salute, ben meno gravi.
Se ci si limitasse a riportare il suo curriculum vitae et studiorum, in particolare la carriera e i ruoli accademici, nonché gli incarichi prestigiosi – tra gli altri, quello di vice-presidente del SUAA, Ateneo Federato di Scienze Umane, Arti e Ambiente; di responsabile dell’Osservatorio Permanente Rifugiati Vittime di Guerra dell’ANRP; di membro dell’International Advisory Board dell’ICSOR, di capo-redattrice del prestigioso trimestrale «La critica sociologica» – non si coglierebbero per intero gli aspetti della sua personalità che la rendevano davvero speciale. Sicché qualcuno la considererebbe null’altro che un’accademica più che arrivata.
Minette, invece, era stata capace di coniugare l’impegno accademico e il rigore scientifico con doti quali la discrezione, la generosità, la solidarietà, il senso etico nonché quelle dell’ironia e dell’amicizia, per dire solo di alcune delle sue qualità.
Dopo la sconvolgente notizia della sua scomparsa, non ho fatto che pensare alla sua abituale gentilezza, alla sollecitudine, alla stima nei miei confronti. Delle quali esemplare è ciò che fece quando, nel 2012, insegnando io nell’Università di Bari da quasi-pendolare, decisi infine di andare in pensione per poter trasferirmi definitivamente a Roma. Minette, che prima d’allora non avevo potuto frequentare abitualmente, fece ciò che sarebbe spettato ai miei colleghi della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bari: alcuni dei quali, in realtà, fin dal Sessantotto, avevano detestato il mio “estremismo”, ma forse anche il rigore etico, quello che, al contrario, lei apprezzava particolarmente. A mia insaputa, infatti, Macioti organizzò presso l’Università “La Sapienza” un Omaggio ad Annamaria Rivera. Decifrare il razzismo, cui invitò a intervenire una decina fra studiosi/e e attivisti/e di grande levatura e di varie nazionalità, tra le/i quali lo storico francese René Gallissot, il sociologo Enrico Pugliese, l’antropologa Gioia Di Cristoforo Longo, Filippo Miraglia dell’Arci, Grazia Naletto di “Lunaria”, Marco Brazzoduro (dell’Università di Roma “La Sapienza), nonché il sociologo e attivista d’origine senegalese Aly Baba Faye… Subito dopo mi coinvolse nel Master “Immigrati e rifugiati” nell’ambito del quale insegnai almeno per tre annate, finché esso non fu sciolto.
Insomma, era una donna assai generosa e non solo nei confronti di colleghe e colleghi, ma anche di chiunque avesse bisogno di aiuto, in particolare di persone immigrate.