La rimozione della memoria, anche a brevissimo raggio, è un tratto essenziale del “confronto” mediatico dei nostri tempi, soprattutto nelle miserevoli diatribe tra esponenti politici “di grido”. Il caso della presunta “metamorfosi” o “svolta” xenofoba e razzistoide di molti rilevanti esponenti del Movimento politico fondato da Grillo ne è un esempio lampante. Sono ormai trascorsi dieci anni da quando il comico genovese definiva “una bomba a tempo” i rom di nazionalità romena e proponeva d’interdire loro la libera circolazione nella Ue. E’ stato pressappòco allora che ha smesso di far ridere. Nel corso degli anni, come un farmaco tossico a rilascio prolungato, il repertorio s’è arricchito, in modo costante, disegnando una linea nefasta e opportunista – certo, non condivisa da tutti i 5 stelle, ci mancherebbe!–, non priva di venature sessiste e omofobiche. Una linea esibita, con fredda determinazione, soprattutto quando Grillo, o Di Maio o la sindaca di Roma, ritengono che la “congiuntura” politica lo richieda, come accade oggi, dopo i risultati mediocri delle recenti primarie amministrative. L’articolo che ci ha inviato Annamaria Rivera ripercorre le tappe di un percorso che non mostra novità
di Annamaria Rivera*
Non sempre è vero che repetita iuvant. E’ da più di un decennio, cioè dagli esordi degli Amici di Beppe Grillo, che andiamo analizzando gli enunciati razzisti del meta-comico e di non pochi suoi sodali, nonché le loro conseguenti prese di posizione politica. Almeno da quando (11 febbraio 2006) Grillo riportava nel proprio blog un ampio passo dal Mein Kampf contro “i giullari del parlamentarismo”, corredato da un ritratto del Führer.
Sei mesi dopo (20 agosto 2006), com’è ben noto, accusava di demagogia l’allora ministro Paolo Ferrero, usando lessico e argomentazioni grossolane di puro stampo leghista, compresa una parafrasi del tipico “Se gli piacciono tanto gli immigrati, se li porti a casa sua”.
Per fare un esempio più recente, il 20 ottobre 2014, parlando a casaccio di Ebola, Isis, “clandestini” e “buonismo”, Beppe Grillo – subito sostenuto dal vice-presidente della Camera, il fine pensatore Luigi Di Maio – tratteggiava il suo programma sull’immigrazione: a tal punto rozzo e reazionario che Francesco Storace, in un tweet, avrebbe commentato che “Grillo sta saccheggiando tutte le proposte de La Destra”.
Storace non ha torto, se è vero che il M5s o almeno i suoi leader non si sono fatti scrupolo di accodarsi perfino alla campagna diffamatoria contro le Ong impegnate nell’opera di ricerca e soccorso dei profughi nel Mediterraneo: con un editoriale sul blog, firmato M5s, disinformato, cinico, denigratorio, che ha ricevuto – ça va sans dire – una valanga di commenti apertamente razzisti; e un conseguente commento di Di Maio, che ha osato definire “taxi del Mediterraneo” le imbarcazioni delle Ong, aggiungendo il classico “chi li paga?”.
Insomma, nel corso del tempo il repertorio pentastellato si è arricchito, in modo costante, di cliché, discorsi e pratiche tali da configurare una linea razzistoide – certo, non condivisa da tutti –, con venature sessiste e omofobiche, sebbene grezza e spesso modellata sulla chiacchiera ordinaria. Strutturale è anche l’attitudine a cavalcare gli umori più malsani della “gente comune”, titillandone l’intolleranza e il rancore a fini elettorali e di potere.
E’ perciò stupefacente che oggi – a destra come a sinistra – si parli di “trasformazione”, “metamorfosi”, addirittura “svolta” a proposito delle sortite della sindaca Raggi e dello stesso Grillo, dopo i risultati mediocri delle recenti primarie amministrative. Ci riferiamo, in particolare, alla richiesta di Raggi di una “moratoria sui nuovi arrivi di cittadini stranieri” nella Capitale, rivolta alla Prefettura, che saggiamente ha risposto picche; nonché al “programma” comparso sul blog grillino il 13 giugno scorso, a firma del M5s, che promette lo smantellamento dei campi-rom.
E ciò senza fare alcun cenno all’obbligo di mettere in pratica, con i fondi europei a disposizione, la Strategia nazionale d’inclusione delle popolazioni rom sinti e caminanti; viceversa, infarcendo il “programma” con i più tipici stereotipi antizigani. Una specialità, quest’ultima, di cui Grillo ha dato prova fin dai primordi del suo movimento, allorché (5 ottobre 2007) definiva “una bomba a tempo” i rom di nazionalità romena e proponeva d’interdire loro la libera circolazione nell’Ue, onde salvaguardare “i sacri confini della Patria”.
Si aggiunga, infine, l’astensione – che in Senato vale come voto contrario – sul pur moderato disegno di legge per il conferimento della cittadinanza italiana ai minori figli di cittadini stranieri, e ciò secondo requisiti abbastanza rigidi. Una decisione politica, quella pentastellata, essa sì puramente demagogica, dato che la posta in gioco è il superamento, almeno parziale, dell’esclusione dai benefici della cittadinanza di decine di migliaia di bambini e adolescenti: nati e/o cresciuti in Italia, educati e socializzati nel nostro Paese, nondimeno finora destinati a ereditare la condizione dei loro genitori.
Ciò che abbiamo tratteggiato finora non configura affatto una novità, meno che mai una “svolta”. E’ bensì l’espressione di uno degli elementi costitutivi dell’ideologia e della strategia del M5s. Dunque, non sarebbe stato necessario essere chissà quali raffinati analisti per cogliere da lungo tempo il coté razzista di una parte cospicua del M5s. Perché mai, allora, perfino taluni intellettuali non da poco lo hanno ignorato e oggi, costernati, parlano di “svolta” o di “metamorfosi”? E quale cecità politica ha spinto parte consistente dei movimenti sociali romani, compresi militanti di lungo corso e d’età veneranda, ad attivarsi in favore del voto a Raggi?
Per rispondere a tali domande si potrebbe avanzare un’ipotesi. Non pochi hanno applicato al M5s il medesimo schema, interpretativo e politico, a suo tempo utilizzato da Massimo D’Alema, ma non solo da lui, per definire la Lega Nord “costola della sinistra”. Uno schema populista, si potrebbe dire con un paradosso, costituito da tópoi descrittivi quali: è una formazione politica “pragmatica e non ideologica”; “con forte radicamento territoriale e popolare”; “con una composizione sociale e un elettorato eterogenei”.
Questi tópoi, che hanno indotto per un certo tempo taluni a denegare, sminuire o rimuovere la connotazione decisamente razzista della Lega, più tardi sono valsi a ignorare o minimizzare la vena di rozzezza, cinismo, opportunismo, pregiudizio, se non razzismo, che ha sempre percorso il M5s: contrastata, certo, da una sua componente, alquanto minoritaria e comunque inascoltata o risolutamente delegittimata. Per fare un solo esempio, basta ricordare le reazioni infuriate di Grillo e Casaleggio-padre contro i senatori Maurizio Buccarella e Andrea Cioffi, presentatori, nel 2013, di un emendamento mirante ad abolire il reato d’immigrazione clandestina.
Come la storia c’insegna, il radicamento territoriale e popolare di una certa formazione politica e la sua composizione sociale eterogenea non ne garantiscono affatto l’immunità da derive di destra o di estrema destra. Tanto più se – come nel caso del M5s – si usa affermare che le ideologie sono morte, ci si proclama “né di destra, né di sinistra”, si rassicurano i fascisti del Terzo Millennio che “l’antifascismo non ci compete”.
* Fonte: Micromega (21 giugno 2017)
fonte: https://comune-info.net/la-bomba-tempo-del-razzismo-5-stelle/