La città plurale ha un’impronta felina

La straordinaria presenza dei gatti segna già al primo sguardo il paesaggio urbano di Essaouira, città del Marocco che resiste con eleganza molto mediterranea all’assedio dell’industria del turismo. E’ il raro portato del tratto cosmpolita di una storia e di un saper vivere che si ispira ogni giorno all’accoglienza, all’ospitalità e all’empatia, in primo luogo nelle relazioni con e tra i non-umani. Con un armonioso collage di brani ripresi da La città dei gatti (edizioni Dedalo) composto per i lettori di Comune, Annamaria Rivera offre un breve ritratto delicato e profondo di Mogador [Essaouira], il frammento di un testo prezioso che intreccia l’analisi antropologica e il reportage letterario. In primo piano, con i gabbiani e i felini, ci sono naturalmente le persone più povere, pronte a concedersi, in uno spazio cittadino di autonomia e dignità, quel lusso del senso e del dono che fa bene a chi riceve quanto a chi dà

di Annamaria Rivera

Sebbene assediata dall’industria del turismo, Mogador [Essaouira] resta una città speciale: non solo per l’artigianato, ma soprattutto per la densa vita culturale, per il carattere cosmopolita e l’identità molteplice, per l’affabilità, l’apertura e lo spirito di accoglienza di gran parte dei suoi abitanti, per la tendenza a filosofeggiare che caratterizza molti di loro, anche se non intellettuali (o forse proprio per questo).

A renderla ancor più singolare è la presenza di gabbiani e gatti, talmente numerosa da segnare nettamente il paesaggio urbano, conferendo alla città un’impronta peculiare, anche estetica. I primi, che un tempo erano soliti nidificare nelle isole Porporine, sono ormai presenti ovunque nella città: su terrazze e minareti, in certe piazze e ovviamente nel porto, sull’arenile, lungo l’intero litorale. La loro sinfonia gridata che echeggia perennemente è parte integrante di Essaouira e contribuisce in misura notevole al suo fascino.

Quanto ai gatti, un’Essaouira senza di loro sarebbe inconcepibile. Chi ci è stato avrà notato, fra le altre cose, che essi gironzolano abitualmente fra i tavoli di caffè e ristoranti, all’aperto e all’interno; e che dormono indisturbati sulla soglia o dentro le botteghe di quell’ininterrotto bazar che è la città entro le mura, comodamente acciambellati su tappeti, coperte, mobili di tuia e altri pregiati oggetti artigianali in vendita. A colpire sono anche le ciotole colme di sardine, frattaglie e altri avanzi che compaiono a sera tarda sulle soglie di abitazioni fra le più umili; le scene abituali di garzoni di caffè, ristoranti, botteghe che distribuiscono cibo alle colonie di gatti; soprattutto la singolare socievolezza dei felini: essendo per lo più ben trattati, non hanno ragione di diffidare degli umani.

12dab867-bc32-483f-9e7a-d3a4bbbcfd7e

È questo uno dei tratti peculiari della città, insieme con una pluralità sociale che è data in primo luogo, ma non solo, dalle vistose differenze di classe, sempre più accentuate nel corso degli anni recenti, mi sembra. Agli alberghi e ai ristoranti di lusso, e a coloro che possono permetterseli – dei turisti, anche marocchini –, fa da contrappunto la moltitudine di mendicanti, clochard e altri indigenti che, bambini compresi, sopravvivono vendendo qualcosa come dolci, sigarette e caramelle sfuse oppure offrendo qualche servizio: lucidatura di scarpe, trasporto di bagagli, tatuaggi all’henné…

In verità, si tratta di una pluralità anche culturale, religiosa, estetica, della quale gli abitanti locali sembrano andare fieri. Numerose volte ho ascoltato dalla bocca di miei interlocutori e interlocutrici l’elogio del pluralismo culturale e religioso del Marocco, in particolare di Mogador, intercalato con i ricordi d’infanzia sulla coabitazione e l’aiuto reciproco con famiglie israelite, e dal rimpianto del tempo in cui gli ebrei erano numerosi e svolgevano nella città un ruolo importante. Come si può immaginare, la nostalgia e il rimpianto –forse anche l’intento di smentire i dilaganti cliché sui musulmani – conduce a idealizzare un tempo che, come ho ricordato, è stato scandito non solo da anni e anni di convivenza pacifica, ma anche da ricorrenti manifestazioni anti-ebraiche, perfino cruente: in occasioni quali la proclamazione dello Stato d’Israele, nel 1948, e la Guerra dei sei giorni, nel 1967, per parlare solo della storia meno lontana […].

In quella stessa area hanno preso a rifugiarsi di sera anche […] cani, decisamente meticci. Come ho constatato, essi mangiano volentieri i croccantini destinati ai gatti, i quali dal canto loro accettano senza problemi sia la condivisione del cibo che la coabitazione notturna. Della loro presenza sembrano compiaciuti non solo i senzatetto che la sera, loro pure, son soliti rifugiarsi lì, ma anche due anziani venditori di caramelle, gomme da masticare e altre piccole cose sfuse. Stanno perennemente lì, seduti sotto un arco con la loro cassetta, accanto a un paio di scatole di cartone ricoperte di plastica, come cucce per i gatti. I due annuiscono vigorosamente quando un clochard dal francese forbito, vissuto a lungo in Francia da immigrato, fa l’elogio dei cani e declama che, accettandoli, finalmente i marocchini mostrano d’essersi civilizzati.

13f96617-83b9-4163-a9f7-2c9c9ab56e02

Un’eguale indulgenza mostrano i felini […] nei riguardi dei gabbiani. Ogni giorno, verso il tramonto, dopo aver ricevuto la consueta razione di cibo da qualche gattara o gattaro (per lo più persone di condizione sociale assai modesta), sono soliti appisolarsi poggiati sulle mura riscaldate dal sole. È allora che arriva puntuale un gruppo di gabbiani a beccare i residui di cibo a brevissima distanza. I gatti restano lì, imperturbabili. Al massimo v’è chi socchiude un occhio, li scorge, si rassicura e torna a sonnecchiare.

Spettacolo quotidiano è anche quello della miriade di gabbiani che nel rosso del tramonto si esibiscono nelle loro danze volteggianti, per poi affollarsi sui lampioni e sul parapetto di pietra che si affaccia sul porto, ove sostano anche decine di gatti: gli uni e gli altri – spesso l’uno accanto all’altro – in attesa del ritorno dei pescherecci […].

Potremmo dedurne anche che tale è l’integrazione nella società locale di alcune categorie di animali che spontaneamente ci si comporta nei loro confronti alla stessa maniera che verso gli umani bisognosi. Per dirlo in altri termini, sembra prevalere largamente un’etica popolare legata a un’interpretazione del Corano e della Sunna, che estende compassione e misericordia a creature non umane, ritenute ugualmente dotate di anima. Oltre a tutto questo, si deve considerare quale importanza rivesta ancora nei Paesi del Maghreb, o almeno in alcune aree, la pratica sociale dell’offerta di cibo, strettamente legata ai valori dell’accoglienza e dell’ospitalità […].

la-citta-dei-gatti

Non è la sola tradizione religiosa che può spiegarci la zoofilia spontanea, sebbene selettiva, coltivata da buona parte degli abitanti di Essaouira, soprattutto fra le classi subalterne […]. Si potrebbe ipotizzare, allora, che questa propensione sia anche un riflesso della storia e dell’identità plurali della città, di un certo spirito di convivenza, del suo carattere cosmopolita fin da tempi remoti, quindi di un’antica dimestichezza con l’alterità. Il che, com’è ovvio, non necessariamente mette al riparo da rigurgiti d’intolleranza, soprattutto in periodi di crisi e di transizione, come dimostra la stessa storia di Mogador.

Come ho detto, quando s’interrogano le persone locali, non poche si soffermano volentieri, anche se non sollecitate, sul tema della tolleranza, spesso collegandolo con quello della protezione dei non-umani: cosa assai significativa, a mio parere. Inoltre, per avvalorare l’obbligo morale di accordare loro (o almeno a certe categorie) compassione e misericordia, sono solite riferire aneddoti riguardanti Maometto e gli animali, facenti parte della Sunna al pari di tutti gli hadíth […].

In fondo, per le persone più povere di Essaouira la sollecitudine e la cura rivolte ai non-umani rappresentano l’eccedente o il superfluo, si potrebbe dire. Concedendosi il lusso del senso e del dono, dell’affettività e del maternage più gratuito, si sottraggono alla ragione economica e utilitaria che le ha condannate, spezzano la catena dell’obbligata dipendenza dal bisogno cui la società le ha legate, e le immagina schiave. Riconquistano così il loro spazio di autonomia e dignità, valore e libertà, ove esse sono partner di una relazione con le altre creature che prescinde da differenze di specie, di genere, di classe.

Annamaria Rivera, La città dei gatti. Antropologia animalista di Essaouira, Dedalo, Bari 2016

 

 

 

 

 

fonte: https://comune-info.net/la-citta-plurale-unimpronta-felina/