Che prima o poi Calderoli avrebbe dato un contributo di peso al linciaggio della ministra Cécile Kyengé era del tutto prevedibile. E immaginabile era, data la biografia politica, la qualità morale e intellettuale del personaggio, che la carica di vicepresidente del Senato non lo trattenesse dal pronunciare qualche insulto razzista dei più classici. Fu da ministro che, nel 2006, esibendo la famigerata t-shirt, provocò la protesta di massa dinanzi al consolato italiano a Bengasi costata la vita a undici manifestanti, uccisi dalla polizia libica.
Costretto a dimettersi dalla carica, anche allora fu ricompensato con la vicepresidenza del Senato. E pure a quel tempo l’alta funzione non gli impedì, a luglio del 2006, in occasione del campionato mondiale di calcio, di procurare un grave incidente diplomatico ingiuriando la Francia e i suoi giocatori: «Negri, islamici e comunisti». Sempre da vicepresidente del Senato, un mese dopo, invitò a sparare contro le imbarcazioni dei “clandestini”. E alcuni mesi più tardi causò uno scandalo politico e di nuovo lo sdegno della comunità musulmana con la trovata del “Maiale-Day”. Anche il sèguito della sua carriera politica -ça va sans dire- è regolarmente punteggiato da ignominie politiche e intemperanze verbali di stampo razzista e omofobico: “culattoni”, si sa, è uno dei lemmi ricorrenti nel raffinato lessico calderoliano.
Sono fatti ben noti. Se li ricordiamo è per sottolineare di quanta ipocrisia grondino le dichiarazioni di quegli esponenti del governo e del Parlamento che sembrano scoprire solo oggi d’essersi messi in casa una bomba sempre pronta a esplodere (venne eletto vicepresidente del Senato con 119 voti, due di più di quelli di cui dispone l’intero centrodestra). E quanto inadeguate e ridicole suonino le parole di chi, nel governo e nel Parlamento, si è limitato a sollecitare le scuse di Calderoli alla ministra: parole irresponsabili verso un Paese che sprofonda nel baratro del discredito internazionale e diseducative verso i suoi cittadini, poiché in sostanza banalizzano il razzismo. A sua volta, l’abituale pacatezza di Cécile Kyengé -un’ammirevole prova di stile- sembra non valga ad arrestare l’escalation di attacchi razzisti e sessisti, in specie ai suoi danni, con minacce di violenza perfino fisica. Per fermarla non saranno sufficienti, temiamo, la richiesta esplicita di dimissioni, avanzata finalmente dal Pd, e quella implicita di Enrico Letta; né il mantra autoconsolatorio dell’Italia che non è razzista e il rifiuto di “scendere al suo livello”, come ha replicato Kyengé a chi le chiedeva se intendesse intraprendere un’azione legale.
Il quale, invece, con la tipica e volgare protervia leghista -alimentata nel corso del tempo dalle coccole, dalle sottovalutazioni, dall’opportunismo dei teorizzatori, espliciti e impliciti, della costola della sinistra- non fa, lui, che querelare questo e quello. Per dirne una: il 18 luglio prossimo, a Cassino, si svolgerà l’udienza preliminare del processo per diffamazione contro Walter Peruzzi e Gianluca Paciucci, autori di “Svastica verde. Il lato oscuro del va’ pensiero leghista”, Editori Riuniti, 2011), libro che reca, fra l’altro, una Postfazione di chi scrive. Il volume è un’ampia inchiesta sulla Lega Nord, ne mette in luce non solo il carattere eversivo e razzista -un razzismo, come si dimostra, cui non sono estranee le matrici nazionalsocialiste- ma anche la spartizione di poltrone, la corruzione, la gestione disinvolta delle casse degli enti pubblici, i torbidi rapporti con le banche, in definitiva l’affarismo e l’ingordigia di potere. Poiché l’inchiesta è corredata da una documentazione inattaccabile -è la Lega raccontata da se stessa, si potrebbe dire-, Calderoli per querelare Peruzzi e Paciucci lamenta che la sua onorevole effigie compaia (per scelta non certo degli autori) sulla copertina del libro. Come se egli non fosse fondatore e dirigente illustre (si fa per dire) della Lega Nord, come se non ne rappresentasse la storia e le opere, come se non fosse sintesi vivente e sbraitante dello spirito leghista. E’ il mondo alla rovescia: si processano gli antirazzisti mentre razzisti patentati occupano, quasi indisturbati e da un ventennio, gli scranni più alti delle istituzioni.
Fonte: https://archiviopubblico.ilmanifesto.it/Articolo/2003213079