Chissà quanti hanno potuto vedere il film di Eyal Sivan e Rony Brauman, Un spécialiste. Portrait d’un criminel moderne, basato sulle immagini realizzate durante il processo ad Eichmann. Più che dal libro famoso di Hanna Arendt, al quale il film si ispira, è da queste immagini che emerge in modo pregnante la mostruosa banalità del male: Eichmann, responsabile dal 1941 al ’45 del rastrellamento, dell’evacuazione e del trasferimento verso i lager di ebrei polacchi, sloveni e gitani d’Europa, ci è restituito dalle sequenze del processo come un ometto normale, mediocre, ben educato, che di eccessivo ha solo la fissazione burocratica e la propensione conseguente a tradurre in eufemismi abomini e crimini sommi: il rastrellamento è un «problema tecnico», la deportazione è la «questione-trasporti», le morti nei vagoni blindati nient’altro che «deplorevoli inconvenienti», gli intoppi nella macchina della deportazione «inadeguatezze ed errori» da correggere.
È a quelle immagini che ho pensato leggendo le dichiarazioni minimizzanti del ministro dell’interno e dei suoi collaboratori a proposito della schedatura e delle impronte digitali riservate ai Rom, bambini compresi, cioè di un provvedimento che somiglia alle schedature razziste dei regimi nazifascisti, finalizzate a costruire archivi per l’individuazione, segregazione, concentramento, deportazione delle minoranze. «Vogliamo che i bambini vivano una vita normale, in condizioni decenti, senza topi, senza essere obbligati all’accattonaggio o a peggio ancora», dichiara Maroni. E Mantovano, di rincalzo: «La norma sulle impronte è finalizzata a identificare, se si perde un bambino, chi siano i suoi genitori». Tutto normale, no? Che c’è da gridare allo scandalo?
Perché l’Unicef, il Consiglio d’Europa, il Garante della privacy, l’Aned, la Tavola valdese, Amos Luzzatto, qualche esponente dell’opposizione, per fortuna raro e flebile, e i soliti scalmanati difensori dei «nomadi» s’indignano tanto? Certo, Maroni non è Eichmann, non avendone neppure la meticolosità e l’aspirazione al rigore amministrativo. Ma le misure che propone e l’ideologia con cui le giustifica – esattamente quella del «male minore», di cui parlava Hanna Arendt – dovrebbero suscitare l’allarme corale dei cittadini democratici. Non è così. È almeno dal 1991, cioè dal trattamento alla cilena dei profughi albanesi nello stadio di Bari, che governi di centro-destra e di centro-sinistra compiono atti e misure razziste banalizzandoli e giustificandoli dietro formule burocratiche. E una buona parte della società civile reagisce con l’indifferenza, la rimozione o l’ideologia degli «italiani, brava gente». Il razzismo è un sistema che si costruisce cumulativamente, una «banalità» dopo l’altra. Credo che oggi, con il governo di destra-destra e con la saldatura fra razzismo «popolare» e razzismo istituzionale, siamo giunti al suo compimento sistemico. La sinistra è indebolita dalla batosta elettorale, si dice, non ce la fa a reagire. Che reagisca, allora, chiunque ha a cuore la difesa dei diritti umani o la sorte dei bambini: che ognuno chieda di essere schedato insieme ai Rom.
Fonte: https://archiviopubblico.ilmanifesto.it/Articolo/2003130444